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domenica 30 marzo 2014

ISTRUZIONE. Povera scuola, se manca l'insegnante gli alunni 8 volte su 10 non fanno lezione

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Marcello Pacifico (Anief): è la dimostrazione del fallimento totale della riforma Gelmini. Che per risparmiare fondi ha ridotto ai minimi termini la possibilità ai docenti in servizio negli istituti superiori di primo e secondo grado di fornire la propria disponibilità alla supplenza.

Nelle scuole italiane quando l’insegnante è assente, in 8 casi su 10 la lezione salta. Con gli alunni che rimangono sui banchi senza fare nulla. La denuncia arriva da un’indagine del portale ‘Skuola.net, che su questo tema ha intervistato circa 1.500 studenti iscritti nelle nostre scuole: “quando il prof di ruolo manca per qualche giorno – spiegano gli autori dello studio - le classi sono spesso lasciate a sé stesse, e circa l’80% dei ragazzi non fa lezione, anche quando un altro docente presenzia in aula. Durante l’ora di buco, 1 studente su 3 dichiara che la classe rimane scoperta senza alcun tipo di sorveglianza”.

Anief si chiede come si fa a parlare di rilancio della scuola italiana, come fanno di continuo alti esponenti del nostro Governo e il Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, quando nei nostri istituti esistono ancora questo genere di realtà. Figlie della convinzione che la scuola rappresenti uno spreco di risorse. Così ne sono state tagliate tante. E per giustificarle sono state approvate nuove norme: come quella che prevede, se si eccettua la scuola dell’infanzia e la primaria, dove è possibile assumere un supplente anche per un solo giorno, che negli istituti frequentati da alunni delle medie e superiori il ricorso alla convocazione di un nuovo docente deve rappresentare una necessità estrema. Non di certo la regola.

Il risultato è che siamo arrivati al punto, come evidenza l’indagine di ‘Skuola.net’, che non ci si alternative valide per assegnare un docente nuovo e sostituire in tal modo il collega che si assenti uno o comunque pochi giorni. Basta dire che per queste emergenze, purtroppo quasi all’ordine del giorno, mediamente una scuola pubblica italiana percepisce annualmente un forfait che non supera i 2 mila o i 3 mila euro.

Considerando che un’ora di supplenze nella scuola pubblica viene compensata con 35 euro, è evidente che si tratta di un budget a dir poco risibile: utile a ‘coprire’ neanche cento ore di sostituzioni. In termini pratici, significa che se i finanziamenti del Miur-Mef venissero utilizzati ogni volta che si rendesse necessario, quindi ogni volta che mancasse un docente dell’istituto, già prima della pausa natalizia di ogni anno scolastico gli istituti avrebbero estinto l’intero finanziamento ministeriale. Lasciando gli studenti privi di sostituto per i restanti sei mesi, ogni qualvolta si assenti il titolare dell’insegnamento per un numero ridotto di giorni. L’unica soluzione per i dirigenti scolastici, a quel punto, sarebbe quella di convocare un nuovo insegnante. Ma soprattutto per motivi burocratici tale possibilità viene praticata, almeno nelle scuole medie e superiori, solo in rari casi.

Questo stato di cose – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non fa altro che avallare quanto il nostro sindacato sostiene da tempo: il fallimento della riforma Gelmini. Perché prima delle nuove disposizioni ministeriali, introdotte a partire dalla madre di tutte le leggi che hanno portato tagli alla scuola, la 133 del 2008 voluta dall’ex ministro dell’Istruzione su pressioni dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, ogni insegnante collocava nell’orario scolastico alcune ore a settimana proprio per sopperire a queste necessità”.

“Non bisogna essere dei profeti per dire che ripristinando quel modello organizzativo, dando di nuovo la possibilità a tutti i docenti in servizio nella scuola di apporre le proprie disponibilità alla supplenza, potremmo parlare di valida soluzione del problema. Solo che servono fondi. Mentre la storia degli ultimi anni – conclude Pacifico – ha dimostrato che ai nostri governanti interessa solo sottrarli. E non portarli sui banchi per valorizzare che vi si siede”.

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