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mercoledì 10 aprile 2013

Malattie genetiche ed ereditarie


Il termine «consanguineità» rappresenta un antico errore del linguaggio scientifico. Errore che è giunto fino a noi dall'epoca in cui si riteneva che caratteri individuali, pregi e difetti, salute e malattie, al pari delle sostanze nutritive e dei prodotti di rifiuto, fossero convogliati, appunto, attraverso il sangue. E ciò spiega perché, ancora oggi, nel linguaggio comune, sangue ed ereditarietà continuino ad essere parole e concetti equivalenti.
Al di là di questa osservazione e mantenendo tuttavia l'uso di detto termine, diciamo che oggi, per consanguineità, si intende tutto ciò che è in comune fra i discendenti di un antenato comune: dal colore degli occhi alla forma dei piedi, dalla predisposizione alla musica al genio matematico, fino ad arrivare a comprendere in tale concetto - ed è questo ciò che più ci interessa - anche malattie che affondano le loro radici nelle leggi della ereditarietà. Ma l'unione fra consanguinei è da sconsigliare? Diciamo che la risposta può essere diversa a seconda se il problema venga considerato da un punto di vista statistico, oppure a livello di una singola famiglia. E poi, non è detto che sempre, in tutti i casi, il frutto dell'unione fra consanguinei sia negativo.
Ma, andiamo per ordine, cominciando dalla storia. Perché, proprio dalla storia, potranno ricavarsi elementi per valutare i pochissimi, eccezionali, pro e i numerosissimi e purtroppo frequenti contro che possono presentarsi in questa circostanza.
E noto, tanto per cominciare da ciò che molti già sanno, che i Faraoni d'Egitto usavano unirsi con le proprie sorelle e così i dignitari di corte e, talvolta, anche gli appartenenti a classi inferiori. Il motivo di questa consuetudine risiedeva nel fatto, almeno per quanto riguarda i Faraoni, che essa consentiva la conservazione di quella che oggi sappiamo essere una ipotetica «purezza» del sangue. «Purezza» che si traduceva, sì, nella concreta possibilità che, da tali unioni, nascessero figli forniti di particolari doti di bellezza e capacità intellettuali. Ma clie era all'origine anche di innumerevoli tragedie le quali, a quel tempo, certo non trovarono spiegazione. Perché, se è vero che la bellezza di Cleopatra è rimasta leggendaria, è anche vero che non sapremo mai quanti esseri, figli di consanguinei, vennero al mondo deformi o malati o morirono poi prematuramente perché dotati di scarse capacità difensive.

In realtà le conseguenze, fauste o al contrario infauste, che vengono a determinarsi nei figli dei consanguinei, non dipendono dalla consanguineità in sé e per sé, ma dai fattori positivi o negativi che si accumulano casualmente negli ascendenti.
La chiave di tale sorprendente constatazione venne fornita dalle leggi che regolano la genetica e, in particolare, da quelle che, attraverso il comportamento dei cromosomi, governano i caratteri ereditari. Questi possono infatti portare con sé, oltre a qualità eccezionalmente vantaggiose, altre parimenti eccezionali, ma così negative da non augurarsi a nessuno.
Tutto merito o colpa dei cromosomi, dunque, potremmo dire. Giacché questi contengono speciali elementi - denominati geni (vedi figura) - ereditati dai genitori, che sono portatori delle diverse qualità di ciascun individuo. Alcune qualità eccezionali - positive o negative - contenute nei geni stessi, non risultano, però, sempre evidenti in colui o colei che ne è portatore o portatrice, ma emergono drammaticamente in una coppia quando un determinato gene di un genitore, portatore di una certa qualità, viene a unirsi con un altro dell'altro genitore, portatore di identica qualità.
Se volessimo quantificare le probabilità di avere un figlio dotato di qualità eccezionalmente buone o, al contrario, cattive, a seguito di un ipotetico accoppiamento fra consanguinei, si avrebbero i seguenti risultati: in caso di accoppiamento fra due gemelli monocoriali - cioè di due gemelli definibili come «veri" gemelli, giacché questi hanno il 100 per cento di geni in comune - 100 per cento di probabilità; se l'accoppiamento avvenisse, invece, fra consanguinei di primo grado (genitore - figlio/figlia; fratello-sorella), i geni in comune e le probabilità di cui sopra sono, invece, del 50 per cento; nel caso di accoppiamento fra consanguinei di secondo grado (nonno/nonna-nipote; zio/zia-nipote; fratellastro-sorellastra), i geni ma comune e le probabilità scendono al 25
per cento.
E fin qui siamo, non diciamo nell'irreale, ma nel poco probabile, visto anche che le unioni finora esaminate sono proibite dalla legge di tutti i paesi civili. L'evento assume però maggiore importanza, perché abbastanza frequente e non proibito dalla legge, quando si passa a unioni fra consanguinei di terzo grado, quali quelle tra primi cugini. In tal caso, i geni in comune e le già dette probabilità di eventi positivi o negativi sulla prole sono, sì, ancora inferiori a quelli prima indicati a proposito delle consanguineità più strette, ma sono pur sempre tante, perché pari a ben il 12,5 per cento.

Ovvio che, mano a mano che la consanguineità si allontana, i geni in comune e le probabilità che nasca un Leonardo da Vinci o un Frankenstein, si fanno sempre più remote. Ma esse, per quanto remota possa essere anche la consanguineità di una coppia, non cessano mai di esistere. Ciò, in quanto la consanguineità può risalire a lontani e ignorati ascendenti e, quindi, le sue conseguenze possono interessare chiunque. "Possiamo dire, infatti, che nessun essere umano è figlio dei suoi genitori, ma figlio di tutte le mille generazioni che lo hanno preceduto. Basterà pensare che chiunque di noi, se vogliamo riferirci per puro esempio a due diverse epoche storiche, conta 64 antenati vissuti nel periodo della rivoluzione francese e ben 17 milioni di progenitori vissuti nel periodo delle Crociate. Non pochi, di certo, imparentati fra loro.
Se ne conclude che, essendovi nell'albero genealogico di ciascuna persona fin troppi consanguinei, meglio non moltiplicare il rischio. Ad esempio, meglio quindi che giovani di belle speranze residenti in centri isolati vadano a cercarsi il partner o la partner magari in capo al mondo, ma non alla porta a fianco. E ciò perché, come sarebbe verificabile soltanto consultando gli antichi registri delle parrocchie, è molto probabile che il vicino o la vicina di casa o qualunque altra persona residente in quel centro isolato gli (o le) sia consanguineo. E questo è proprio ciò che, per fortuna molto più spesso in passato che oggi, capitava in tutti i piccoli centri, allorché intere comunità nascevano e morivano nello stesso posto: sia per le difficoltà delle comunicazioni, sia perché il nascere e il morire in uno stesso luogo, veniva imposto dal tipo di vita della civiltà contadina, sia per una naturale diffidenza che tutte le piccole comunità provano per il forestiero. Come è provato dall'antico proverbio popolare, tuttora largamente citato e, quindi, accettato «moglie e
buoi dei paesi tuoi».




Malattie genetiche
Età della partner e consanguineità, dunque, costituiscono due problemi di non secondaria importanza che ciascuno, come abbiamo visto, dovrebbe porsi quando decide di mettere su famiglia.
E, tuttavia, essi possono,. se almeno uno dei partner è persona attenta alle questioni della salute, specie se queste riguardano la progenie, essere risolti facilmente e, anzi, preliminarmente. Cioè, fin già all'atto del primo incontro, allorché gli è già possibile sapere se la persona che desta il suo interesse ha l’età giusta e non è consanguinea.
Ma esiste un altro grosso problema riguardante il futuro della stirpe. Che ha, però, il non piccolo difetto di non poter essere risolto in via preliminare. E che, anzi, comporta, per venirne a capo, indagini pazienti, domande indiscrete e piccole inchieste. Tutte tendenti a scavare nella storia del partner e della sua famiglia, per sapere se si sono presentate in passato evenienze sospette. E, cioè, se in essa vi sono stati casi di bambini nati morti o malformati.
Tale evenienza, peraltro, non costituisce - si badi bene - evento raro. Tutt'altro. E, infatti, circa il 4 per cento delle gravidanze è interessato dall'esistenza di una anomalia nei cromosomi del prodotto del concepimento. Se non che, la maggior parte di queste anomalie - calcolata intorno al 3,5 per cento delle gravidanze - determina effetti così devastanti sulla formazione dell'embrione, da esitare in aborto. Ma non è da credere che il rimanente 0,5 per cento sia poca cosa, perché, a conti fatti, tale percentuale significa che un bambino su 200 nati vivi e affetto da una delle tante malattie che derivano, appunto, da alterazioni dei cromosomi. Tra le quali fa spicco, per la sua frequenza, la ben nota e già ricordata sindrome di Down, più conosciuta, fino a qualche tempo fa, soltanto con il nome di «mongolìsmo».
E poi, vi è la cosiddetta malattia del «grido di gatto» (un caso su 5000 nascite); la sindrome di Patau (un caso su 6000 nascite); quella di Edward (un caso su 8000 nascite); quella di Turner (che colpisce soltanto le femmine, nella proporzione di un caso su 2500 nascite); la cosiddetta sindrome della «superfemmina» (un caso su 1200 femmine) e tante altre ancora, le principali delle quali, in totale, sono in numero superiore alla trentina.

All'elenco e alle probabilità di una malattia cromosomica, si aggiunge poi la possibilità della comparsa di una malattia genica. La quale - e questo lo abbiamo precedentemente già accennato - può emergere sia quando i cromosomi di entrambi i genitori contengono lo stesso gene di una stessa malattia, sia, in taluni casi, quando il gene di una malattia è collocato nel cromosoma di un solo genitore.
Appartengono al primo tipo di malattie, ad esempio, la talassemia (un caso su oltre 3000 nascite); la mucoviscidosi (un caso su oltre 3000 nascite); la fenilchetonuria (un caso su 10.000 nascite). Appartengono, invece, al secondo tipo di malattie, ad esempio, il nanismo acondroplasico (un caso su 10.000 nascite); la neurofibromatosi (un caso su 3000 nascite); la sindrome di Ehler-Danlos (un caso su 600 nascite).

Indubbiamente, gran parte o forse quasi tutte le malattie - sia cromosomiche che geniche - fin qui nominate, al lettore risultano sconosciute. In definitiva, anzi, si potrebbe dire che, considerata la loro relativa rarità, avremmo anche potuto fare a meno di nominarle. Tuttavia, quello che che premeva mettere in luce, è il gran numero di affezioni dovute a disordini ereditari. Numero che, negli anni, è andato sempre crescendo, dato il continuo progredire delle tecniche di indagine diagnostica (villocentesi e amniocentesi in testa più screening vari). Secondo dati recenti forniti dalla Johns Hopkins University, in meno di 25 anni, tale numero si è moltiplicato di otto volte. Sicché, tra malattie cromosomiche e geniche, oggi se ne contano più di tremila: per l'esattezza, 3368. 

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