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venerdì 23 giugno 2006

UN NO RAGIONATO, ARTICOLATO ED INDIPENDENTISTA ALLA COSIDDETTA "DEVOLUTION"

MOVIMENTO PER L'INDIPENDENZA DELLA SICILIA
fondato nel 1943


- CUMUNICATU STAMPA -

UN NO RAGIONATO, ARTICOLATO ED INDIPENDENTISTA ALLA COSIDDETTA "DEVOLUTION"

Il 15 maggio 1946, con il decreto-legge n°455, venne approvato lo Statuto della Regione Siciliana, a conclusione della trattativa fra lo Stato Italiano e i Siciliani in armi per l'indipendenza (guidati dal MIS e dall'EVIS), che ha il valore sostanziale di un trattato internazionale fra due entità nazionali.

Già nella travagliata stesura, quanto più nelle ore che lo videro introdotto nella Costituzione della neonata Repubblica Italiana e nei mesi ed anni successivi, che lo hanno visto disatteso, inapplicato, sostituito dalla prassi politica clientelare ed antisiciliana, lo Statuto è stato oggetto di un vilipendio continuo, proprio a causa del suo essere la vera e propria Costituzione di uno Stato (quello Siciliano, con la sua quasi millenaria storia di statualità) associato ad un altro Stato, quello Italiano.

Oggi, mentre la Catalunya vede la conferma di uno Statuto che, per quanto insoddisfacente, sancisce la realtà della Nazione Catalana, lo Statuto Siciliano corre due gravi rischi.

Il primo è d'origine "interna". Difatti, nella scorsa legislatura l'Assemblea Regionale Siciliana, priva da tempo di una rappresentanza indipendentista al suo interno a causa della chirurgica opera di "disboscamento anti-indipendentista", ha approvato una legge-voto di modifica dello stesso Statuto che ne mortifica le poche parti ancora funzionanti (si veda ad esempio la potestà e funzionalità dell'Ars stessa), e che, a fronte di una specifica proposta plebiscitariamente respinta dai deputati ascari, nega l'esistenza stessa del Popolo Siciliano.

Il secondo è rappresentato dalla modifica stessa alla Costituzione Italiana (di cui, lo ribadiamo, lo Statuto Siciliano è parte integrante, introdotto mediante la legge costituzionale n°2/1948 che pure fu in parte dichiarata illegittima dall'Alta Corte per il consentire modifiche con legge ordinaria allo Statuto stesso entro due anni dall'approvazione) varata nella scorsa legislatura dalla maggioranza di centrodestra, in quanto ratifica e "normalizza" tutta quella prassi anticostituzionale (in quanto anche antistatutaria) ai danni dello Statuto, in primis la disattivazione dell'Alta Corte che pure non è mai stata formalmente abrogata per legge, ma solo "messa a dormire" da due sentenze che rappresentano un autentico crimine da parte dello Stato Italiano nei confronti della Nazione Siciliana, del suo Statuto e della sua Alta Corte, che è una Corte di garanzia dei diritti costituzionali del Popolo Siciliano, la cui esistenza è sancita da un diritto cogente inalienabile.

Contro la prima fonte di rischio, il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia condurrà una dura, ma pur sempre civile e nonviolenta come sua convinta e consolidata prassi da tempo, battaglia extraparlamentare affinché tale legge-voto venga abrogata dall'Ars o respinta dal Parlamento Italiano. Una battaglia, come detto, al di fuori delle due istituzioni parlamentari a causa delle leggi autoprotettive varate dal sistema politico dei partiti centralisti ed italianisti che ci hanno fatto desistere dal partecipare alle recenti competizioni elettorali, pur avendo regolarmente depositato il nostro storico simbolo, oggi integrato in un quadro di più ampia visibilità grafica.

Contro la seconda fonte, l'opportunità è offerta dal referendum del 25 e 26 giugno prossimi, in occasione del quale il Movimento per l'Indipendenza della Sicilia invita tutti i Siciliani, residenti in Patria, in Italia o in altri Paesi esteri, a votare NO.

Perché, pur essendo nostro chiaro intendimento dare vita nel minor tempo possibile allo Stato Siciliano Indipendente e Democratico, non possiamo in questa contingenza attuale non riconoscere che, fra la Costituzione vigente (alla cui stesura, lo ricordiamo, il MIS partecipò con una qualificata delegazione di propri deputati) e il rammendo pseudofederalista che se ne è compiuto (con intenti chiaramente centralizzatori e assimilazionisti), il peggiore e più pericoloso dei mali è proprio il secondo. Perché, a parziale deroga del nostro detto "cu lassa â strata vecchia pâ nova sapi socchi lassa ma nun sapi socc'attrova", nonostante l'ampia campagna disinformativa, è ben scritto cosa ci attende in Sicilia se tale riforma devesse essere approvata.

Sostanzialmente, una riforma neocentralista, di stampo napoleonico, ove lo Stato Italiano, in nome del presunto "interesse nazionale" può sostituire ogni organo locale, al tempo stesso attribuendo finte potestà alle regioni (sempre più "vicine" a quelle a statuto speciale, così assimilate a regioni amministrative ordinarie), a monte delle quali esiste sempre e solo lo Stato Italiano, visto come realtà immanente ed eterna.

Infatti, esaminando il testo della riforma:

- la diminuzione propagandistica del numero dei parlamentari è un'ulteriore barriera posta dal sistema politico italiano autoreferenziale nei confronti del possibile ingresso di nuove forze politiche, in specie quelle radicate solo in una parte del territorio della Repubblica;

e proprio ai fini della autoperpetuazione del sistema stesso è funzionale la diminuzione dell'età di accesso alle camere, così che i giovani vengano cresciuti al buoi del carrierismo politicante e delle logiche spartitorie e cencelliane, non al Sole della partecipazione democratica;

- il cosiddetto "Senato federale" di federale, o meglio di "delocalizzato", ha solo il meccanismo di elezione dei Senatori stessi (che pure rappresentano «la Nazione e la Repubblica ed esercita le proprie funzioni senza vincolo di mandato») eletti come oggi in collegi regionali, ma contestualmente ai consigli regionali (all'Assemblea Regionale in Sicilia): i rappresentanti dei consigli regionali (che dovrebbero essere un'ulteriore garanzia di "delocalizzazione" ma che pur sempre faranno parte dei partiti italiani) saranno dei veri "Senatori di serie B", non avendo diritto di voto né di veto;

ciò accade tanto nel Molise quanto in Sicilia, a "normalizzare" quella palese tendenza di neutralizzazione di "specialità" e individualità della Sicilia, ridotta così anche normativamente al rango di una qualsiasi Regione amministrativa italiana;

- viene meno il termine stesso di "Parlamento": si parla di "Camera" e di "Senato federale" (ma, come già detto, l'abito non fa il monaco), che si avvicenderanno (e sfideranno) in un complesso meccanismo di formazione delle leggi fra potestà esclusive e condivise, che non farà altro che complicare la formazione delle leggi (che nasceranno sempre in misura crescente a Roma che non nelle singole regioni, come vedremo);

è rafforzato il concetto di "Repubblica", quasi a voler cristallizzare l'attuale Stato Italiano e a negare che nel flusso congiunturale della storia gli stati nascono e muoiono di continuo; non così le nazioni, tra le quali quella, inesistente, "italiana" è del tutto identificata con la Repubblica stessa (cosa in un certo qual senso coerente, se è vero che la cosiddetta "nazione italiana" è nata contestualmente allo Stato Italiano nato dallo Stato Sabaudo con la conquista del Regno delle Due Sicilie);

- il "Presidente della Repubblica", proprio per evitare "brutte sorprese" derivanti da mancanza di popolarità o di omogeneità del presunto "popolo italiano", continua ad essere eletto da un organo derivante dalle Camere in seduta comune ed allargato a delegati regionali, tutti espressione dei partiti dominanti;

è peraltro, nella "somma algebrica" delle variazioni introdotte, sostanzialmente depotenziato nelle competenze, assurge quasi ad una figura simbolica che dovrebbe rappresentare «la Nazione e l'unità federale della Repubblica»;

- si introduce per la Valle d'Aosta ed il Trentino Alto-Adige il nome originale, Vallée d’Aoste e Südtirol. Ciò non accade per le altre "regioni" (appurato che "Sicilia" rimarrebbe invariato in Siciliano, ma non in altre due lingue siciliane: il Galloitalico e l’Arberesch), quando da una riforma "federalista" ci si sarebbe aspettato una introduzione nella Costituzione delle lingue cosiddette "minoritarie", ad oggi "riconosciute" (con ampie lacune, ad esempio quella del Siciliano stesso) da una legge ordinaria, la 482/99;

è, al tempo stesso, abrogata la possibilità, con una svolta chiaramente centralista, centralizzatice e tassidermica, la possibilità, prima riconosciuta, per altre regioni o province di ottenere uno statuto speciale. Ciò viene al tempo stesso attribuito sostanzialmente alla città di Roma per il suo semplice essere la "Capitale";

- gli ultimi articoli della riforma sono i più emblematici perché testimoniano appieno l'intento centralizzatore. Infatti, sempre tenendo conto le prerogative Statutarie della Sicilia (almeno fino ad esplicita abrogazione) vengono centralizzate:
1) la promozione del sistema economico e produttivo
2) la politica del credito
3) le norme generali sulla tutela della salute, sicurezza e qualità alimentari
4) le reti strategiche di trasporto e di navigazione
5) l'ordinamento della comunicazione
6) l'ordinamento delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo
7) la produzione strategica, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia

Mentre rimangono allo stato centrale:
1) le norme generali sull’istruzione
2) l'ordine pubblico e sicurezza, esclusa la polizia amministrativa locale
3) la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali
4) la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni di Comuni, Province e Città

Alle regioni ordinarie viene attribuito:
a) l'assistenza e organizzazione sanitaria (non le norme, ma solo l'organizzazione, vale a dire che lo stato fa le leggi e la regione ci mette il lavoro organizzativo e i soldi, come già oggi)
b) l'organizzazione scolastica, la gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche (anche qua solo organizzazione e gestione, vale a dire che lo stato fa i programmi, le leggi e la regione ci mette il lavoro per l’organizzazione e i soldi)
c) la definizione della parte dei programmi scolastici e formativi d’interesse specifico della Regione (cosa già possibile entro l'autonomia delle istituzioni scolastiche, ma non si parli di insegnamenti linguistici locali, se la lingua locale non è considerata tale dalla summenzionata legge 482/99)
d) la polizia amministrativa (quando la polizia comunale, provinciale e locale è già ordinata da leggi regionali);

- Ma si introduce il concetto di «interesse nazionale della Repubblica» in nome del quale lo stato centrale può arbitrariamente rimuovere disposizioni normative regionali.

E non solo. Lo Stato Italiano può sostituirsi, in un range molto ampio di casi ed imperniato sempre nell'ottica della «tutela dell'unità nazionale» sostituirsi a qualsiasi Regione, Provincia, Città metropolitana o Comune. Quando prima gli era consentito supplire a singoli organi di queste in difficoltà.

SI PASSA QUINDI DAL SOLIDARISMO POSTBELLICO AL BONAPARTISMO POST LEGHISTA.

Quindi, il nostro NO alla "devolution" centralizzatrice ed assimilazionista vuole essere un deciso freno avverso alle farneticazioni costituzionali neocentraliste, ed un passo verso il recupero dello Statuto Siciliano d'Autonomia originario che andrà, successivamente, corretto in armonia con le recenti tendenze di diritto internazionale dei popoli "associati" (e quindi il riconoscimento dell'identità nazionale siciliana), e ciò sempre nell'ambito del cammino indipendentista verso una Sicilia protagonista in prima persona, con la sua ritrovata statualità e libertà, nello scenario euromediterraneo di cui è il naturale centro geografico, culturale, economico, storico.

Catania, 23 giugnu 2006

A cura dell'Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.


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«Noi vogliamo difendere e diffondere un’idea della cui santità e giustizia siamo profondamente convinti e che fatalmente ed ineluttabilmente trionferà».

Andrea Finocchiaro Aprile, 1944

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